Per oltre quindici anni, lo smartphone è stato il centro del nostro universo digitale. Ci ha permesso di lavorare, comunicare, orientarci, imparare e perfino amare. Ma qualcosa, negli ultimi mesi, sta cambiando. Piccoli dispositivi indossabili, potenziati dall’intelligenza artificiale, stanno lentamente emergendo come una possibile alternativa. Non stiamo parlando delle solite fitness band o smartwatch, ma di vere e proprie interfacce AI personali, sempre con noi, sempre attive. E qualcuno inizia a chiedersi: stiamo entrando nell’era post-smartphone?
Un nuovo tipo di dispositivo
Nel 2024 è esploso il fenomeno degli AI wearable: piccoli assistenti intelligenti da portare addosso, capaci di interagire con noi attraverso la voce, il tocco, la visione o semplicemente il contesto. Tra i più discussi, troviamo il Rabbit R1, un dispositivo compatto dotato di touchscreen, rotella fisica e microfono, che consente di effettuare azioni complesse come prenotare un Uber, inviare un messaggio o tradurre una conversazione, tutto attraverso comandi vocali semplificati. Il suo punto di forza è un motore chiamato "Large Action Model", che non si limita a rispondere, ma agisce sulle app come farebbe un utente.
C’è poi il Humane AI Pin, un piccolo dispositivo da attaccare ai vestiti, che proietta informazioni sul palmo della mano e prometteva una vera alternativa allo smartphone. Prometteva, appunto. Il prodotto è stato accolto con entusiasmo iniziale, ma ha rapidamente deluso le aspettative per via di problemi di batteria, prestazioni scarse e interfaccia poco intuitiva. A metà 2025, la startup è stata acquisita da HP, segno che l’idea non era del tutto sbagliata, ma forse prematura.
Intanto, giganti come Apple e Meta stanno facendo le loro mosse: Apple ha integrato una nuova forma di intelligenza artificiale in Vision Pro, mentre Meta collabora con EssilorLuxottica per creare occhiali smart sempre più sottili, eleganti e intelligenti.
Una rivoluzione silenziosa
La vera forza di questi dispositivi non è solo nella tecnologia, ma nel modo in cui cambiano la relazione tra essere umano e dispositivo. Gli AI wearable, infatti, non ci chiedono più di guardare uno schermo. Sono progettati per ascoltarci, anticipare i nostri bisogni, rispondere in modo naturale. Diventano una sorta di assistente invisibile, che ci accompagna nella quotidianità senza interromperci.
Pensiamo alla salute: molti di questi dispositivi stanno diventando dei coach personali, capaci di monitorare in tempo reale stress, sonno, postura e attività fisica. Oppure alla produttività: nel mondo del lavoro, soprattutto in settori industriali o logistici, avere un’interfaccia vocale o visiva sempre disponibile può fare la differenza.
Ma siamo davvero pronti?
Naturalmente, non tutto è rose e fiori. I limiti tecnici sono ancora molti: la durata della batteria è spesso deludente, i microfoni e le fotocamere sempre attivi sollevano preoccupazioni sulla privacy, e in generale l’esperienza utente non è ancora fluida come quella a cui ci ha abituati lo smartphone. Ma il cambiamento è in atto.
I dati parlano chiaro: secondo diverse analisi di settore, il mercato globale degli AI wearable raddoppierà entro il 2029, passando da 62 a oltre 138 miliardi di dollari. Alcune stime più ambiziose parlano di un valore di mercato che potrebbe superare i 1.000 miliardi entro il 2033. Non si tratta più di un’ipotesi: è una direzione.
Un futuro più vicino di quanto pensiamo
Cosa succederà allora? Forse non abbandoneremo lo smartphone domani. Ma è probabile che, nei prossimi cinque o dieci anni, sempre più persone inizieranno a usarlo sempre meno. Per certe cose, basterà parlare. Per altre, basterà un gesto. Per molte, non servirà più fare nulla: sarà l’AI ad agire al posto nostro.
È l’inizio di una nuova era. Non è detto che sarà migliore. Ma sarà sicuramente diversa.